
La Cassazione ha recentemente statuito su una questione alquanto spinosa, principalmente perché non contemplata da alcuna disposizione di legge: i giudici, in particolare, hanno affrontato la questione del rapporto tra il decesso di un condomino e la comunicazione dell’avviso di convocazione assembleare. La Corte, in breve, pur richiamando un altro orientamento secondo cui se si ammette che l’amministratore non possa inviare l’avviso all’erede finché costui non abbia assunto la qualifica di condomino o, più semplicemente, perché non ha un indirizzo a cui poterlo inviare in quanto l’erede non lo ha comunicato, egli adempirà al suo obbligo burocratico svolgendo le due seguenti attività: innanzitutto inviando l’avviso all’ultimo domicilio, dove, come avviene per lo più, è verosimile che venga rinvenuto da qualcuno (successore o meno) che possa poi portare l’avviso a conoscenza degli interessati e, successivamente, verificando l’avvenuta ricezione dell’avviso da parte di una persona addetta a quel domicilio, indipendentemente da come poi questa persona deciderà di muoversi.
Questo metodo, però, sconta una grossa carenza in tutte quelle ipotesi nelle quali, all’indirizzo del defunto, non vi sia nessuno che, continuativamente o anche solo saltuariamente, possa ricevere la posta e, quindi, anche l’avviso.
Sulla base di queste considerazioni, quindi, la Cassazione ha concluso tagliando la questione alla radice e ritendendo che l’amministratore informato del decesso di un condomino, non avendo utili elementi di riferimento e non avendo l’obbligo di fare alcuna particolare ricerca, non sia neppure tenuto ad inviare l’avviso, fino a quando gli eredi non gli comunicano la loro qualità.