La questione della morosità in condominio è, forse, quella che rende più apprensivi i proprietari degli immobili e genera i maggiori contrasti in assemblea. Ecco perché gli amministratori si trovano a dover affrontare situazioni emotivamente impegnative tra l’incudine e il martello.
In questo contesto si è inserita la riforma del 2012 per la quale, salvo che sia stato espressamente dispensato dall’assemblea, l’amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio a cui il credito esigibile si riferisce. Inoltre, ai sensi del c.c., l’amministratore può richiedere l’emanazione di un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, sulla base di un riparto approvato dall’assemblea e senza la previa autorizzazione di quest’ultima. Nel caso in cui, invece, decida di perseguire la via del giudizio ordinario, sarà obbligatoria la promozione di un procedimento di mediazione.
Strettamente collegato a questo discorso è quello della responsabilità dell’amministratore nel caso in cui egli non ottemperi a quanto gli viene imposto dalle norme appena ricordate. La Corte di Cassazione ha specificato, in merito, che è sufficiente la messa in mora del condomino moroso come elemento attestante l’adempimento dell’obbligo di agire.
Infine, in merito all’unico caso in cui l’amministratore può omettere di compiere qualsiasi atto, occorre specificare che la delibera assembleare che lo autorizza in tal senso, deve essere corredata da valide motivazioni.